Guido Reni o come il classicismo barocco trova il suo splendore nel pennello del maestro bolognese

In questo caso di Art Detective voglio parlare di un pittore straordinario: Guido Reni.
Questo superlativo pittore bolognese distaccò per il suo stile, permeato da un gran
classicismo in un’epoca e in un’arte barocca.
Approfittando dell’attuale esposizione del Museo del Prado dedicata a Reni, che
esibisce intorno a 100 pezzi provenienti da più di 40 musei, ho selezionato tre opere da
investigare in puro stile Art Detective.
Queste opere sono delle versioni che l’artista realizzò mediante una tecnica sorprendente,
quella del calco.
Furono create in differenti momenti della sua vita e abordano diversi temi. Spaziano tra
la mitologia, le leggende e la religione in maniera perfetta e armonica.
Guido Reni iniziò la sua carriera sotto l’influenza del suo maestro Annibale Carracci e del
naturalismo classico, uno stile artistico che cerca di rappresentare la natura e il mondo reale
con fedeltà e precisione.
Tuttavia Reni sviluppò uno stile personale, distintivo, che lo differenziò da altri artisti della sua
epoca.
Tra le caratteristiche più rilevanti del suo stile vi sono l’eleganza, la delicatezza e il trattamento
delle figure. I suoi personaggi hanno dei tratti delicati e proporzioni armoniose che
conferiscono loro una bellezza idealizzata.
Reni è abile nel rappresentare la pelle delicata e le pieghe delle tele con grande
dominio tecnico, che aggiunge ad esso un grande realismo così come vari dettagli alla
sua opera.
La luce è un altro elemento distintivo della sua arte. Reni era solito utilizzare una luce
diffusa e avvolgente che generava un effetto di chiaroscuro lieve e creava un’atmosfera
eterea. Questa sensazione di delicatezza si vedeva accentuata dalla scelta di colori
pastello.
Inizierò presentando una delle stelle della mostra “Guido Reni” del Museo del Prado:
Ippomene e Atalanta.
Ne ho già parlato in un altro caso di Art detective.
Ippomene e Atalanta sono i leoni che trainano il carro di Cibele. Vi ricordate?

Prima di diventare degli animali, erano una giovane e un giovine.
Atalanta era una donna meravigliosa che rifiutava di sposarsi; lo avrebbe fatto solo a
patto che si gareggiasse con lei in una corsa, sapendo che fosse impresa impossibile
per qualsiasi mortale.
D’altra parte, Ippomene, era un giovane innamorato di Atalanta, che con l’aiuto di
Venere, conquisterà il suo cuore.
Seguendo il consiglio di Venere, Ippomene lancia tre mele d’oro durante la sua corsa
per distrarre Atalanta così da ottenere la vittoria. Le mele, ad egli consegnate da

Venere, provenivano dal giardino delle Esperidi un luogo sacro dove crescevano alberi
che producevano mele dorate con delle proprietà magiche, simbolo d’immortalità.
Le mele erano custodite da Ladone, un drago da 100 teste che proteggeva i frutti. Rubare le
mele era quasi impossibile, visto che chiunque vi provasse, doveva affrontare la feroce bestia.
Ercole l’affrontò in uno delle sue dodici fatiche.
Ma questa è un’altra storia, che sicuramente racconterò in un altro caso di Art
Ddetective in futuro.
Nell’opera di Guido Reni, la scena rappresenta i due giovani in una posa di danza, come se
stessero ballando al suono di una musica celestiale.
Atalanta si presenta nel lato sinistro della pittura raccogliendo la seconda mela d’oro.
Ippomene dall’altro lato la guarda con gli occhi che riflettono la certezza della vittoria.
I corpi di entrambi sono incrociati, tra le gambe e le braccia, formando delle diagonali
perfette. Dei drappi voluttuosi coprono i corpi dei due. I colori di un bianco candido in
un meraviglioso gioco di chiaroscuro contrastano con il fondo azzurro del cielo e del
mare.
Nella mostra “Guido Reni” dedicata al pittore, possiamo ammirare entrambe le pitture
praticamente identiche eseguite dall’ artista bolognese.
Uno dei due quadri appartiene al Museo del Prado e l’altro alla collezione del Museo
Nazionale di Capodimonte di Napoli.

 

L’opera del Museo del Prado è datata 1618 e 1 6 2 5 ed ha una storia incredibile, nel puro stile
Art Detective.
Per molto tempo, è stata considerata una copia e, pertanto non ha occupato un luogo
di rilevanza nel nostro museo di Madrid. Tuttavia, la sua odissea comincia dall’Italia a
Madrid molto tempo addietro.
Il quadro appartenne a Giovan Francesco Serra, marchese di Cassano di Calabria.
Calabria la mia regione di nascita. Che meraviglia! Serra, un genovese impiantato a
Napoli, fu un grande collezionista d’arte, e molti dei suoi quadri furono acquisiti dal
viceré di Napoli in nome del re spagnolo Filippo IV.
Il quadro si trovava nel Alcázar di Madrid fino all’incendio del 1734; ma si salvò da
quella che fu la maggiore tragedia della storia per tutte le opere d’arte in esso
conservate.
Durante il regno di Carlo III di Spagna, si considerò osceno e si arrivò quasi a
bruciarlo, ma fortunatamente questo non avvenne. Posteriormente, si trovò nella Reale
Accademia delle Belle Arti di San Fernando di Madrid tra il 1796 e il 1827, anno in cui
fu integrato nella collezione del Museo del Prado. Dovuto al fatto che era considerato
una copia fu di nuovo trasferito.
Questa volta arrivò fino alla città di Granada. Dopo uno studio molto approfondito del
quadro, si determinò che fosse un originale del pittore e cominciò ad acquisire una
certa importanza.
Recentemente, è stato restaurato dal Almudena Sanchez, restauratrice del Museo del Prado,
che ha restituito al quadro il suo splendore originale.
Grazie a ciò, si possono apprezzare leggere differenze che esistono tra il suo gemello di
Capodimonte, per esempio in alcuni dettagli del piede di Ippomene, altri nel paesaggio o il
colore del cielo.
L’opera fu realizzata dal pittore a partire da un calco, una sorta di “carta copiativa” delle
opere. Nella mostra e nell’opera di Reni in generale si possono trovare differenti dipinti
ripetuti.
David García Cueto, commissario dell’esposizione “Guido Reni”, spiega questa usanza
di “ripetere” e non “copiare” i quadri. Ribadisce la differenza tra una copia e una
ripetizione. In una ripetizione si riconosce l’originalità nell’esecuzione. Invece quando
parliamo di copia, la maggior parte delle volte, il lavoro è stato eseguito da un altro
pittore o dalla sua bottega. Da qui il lungo dibattito se le opere di Reni fossero o no
originali.
Guido Reni utilizzava una sorta di base in cartone per ripetere esattamente o quasi lo
stesso quadro.
Come descrice David García Cueto, è come se fosse la base di impuntatura e il
modello che usa un sarto.
Le versioni di Ippomene e Atalanta conservate nel Museo del Prado e di Capodimonte furono
realizzate a distanza di pochi anni.

È strabiliante poterle ammirare insieme per la prima volta nella mostra “Guido Reni”!

Passiamo adesso all’opera dell’esposizione di Reni che ritratta la regina Cleopatra. Nella
mostra si presentano una volta ancora due pitture che sono quasi identiche, una appartenente
al Museo del Prado e l’altra alla collezione privata del Re Carlo III d’ Inghilterra.

 

Cleopatra, l’affascinante figura storica che governò L’Antico Egitto dall’anno 51 a.c fino alla sua
morte nel 30 a.c, ha lasciato una profonda eredità nella cultura popolare, all’essere ricordata
per la sua intelligenza, le sue abilità diplomatiche, e la sua relazione con i leader romani Giulio
Cesare e Marco Antonio.
La sua connessione con l’aspide, rappresentato come il simbolo iconico del suo tragico
destino, è durato a lungo durante i secoli. Secondo le fonti storiche, Cleopatra scelse di
affrontare il suo tragico destino e la possibilità di cadere in mano ai nemici dopo la
sconfitta di Marco Antonio nella guerra contro Ottavio, togliendosi la vita usando il
morso di un serpente velenoso, per l’appunto l’aspide.
Questa scena è stata plasmata in innumerevoli opere d’arte durante la storia, catturandone
l’intensità e il drammatismo.

Nel mondo dell’arte, Guido Reni ha lasciato la sua traccia nella rappresentazione di
Cleopatra e il vincolo con l’aspide.
Con la sua destrezza tecnica e la sua abilità nel creare composizioni equilibrate Reni
rappresenta Cleopatra in uno stato di serena bellezza ed eleganza.
In questa opera specialmente, si può osservare lo sguardo intenso e profondo della
regina e il suo volto che riflette solennità e contemplazione.
La figura di Cleopatra domina il primo piano della composizione, catturando
l’attenzione dello spettatore con la sua imponente presenza. Reni riesce a trasmettere
la bellezza idealizzata di Cleopatra, con linee dedicate e proporzioni che accentuano la
luminosità della sua pelle. È interessante notare che la tecnica del calco utilizzata da
Reni è evidente in queste due opere.
Sebbene esistono variazioni leggere nella composizione, tra la versione del Museo del
Prado e quella inglese, entrambe mostrano la destrezza artistica dei Reni e la sua
capacità per ricreare la figura di Cleopatra accattivante.
Nella riproduzione inglese invece di poggiare la mano sinistra sul cesto dell’aspide, la
estende teatralmente sul suo petto. I vestiti si rappresentano in colori differenti, il manto
è rosa e non rosso, così come la camicia non ha più il bordo dorato come nella
versione del Prado.

Come sono arrivati al Museo del Prado e in Inghilterra le due opere di Guido Reni?

Il destino di entrambe le opere, sia per il Prado che per l’Inghilterra, è piuttosto
enigmatico. Secondo Carlo Ridolfi, pittore e biografo veneziano si sa che l’opera formò
parte della collezione del pittore fiammingo Nicolas Régnier.
Reni creò quest'opera in concomitanza con altre tre versioni di Cleopatra realizzate da altri
artisti: Palma il giovane, Régnier e Guercino. Anche se la pittura di Reni non raggiunse
il livello di riconoscimento di quella di Palma, è diventata un tesoro apprezzato da
Régnier che la conservò nella sua collezione personale.
Il destino dell’opera dopo essere appartenuta a Régnier continua ad essere piuttosto intricato.
Nel 1666, la pittura fu venduta in un’asta pubblica e posteriormente acquisita dal mercante
d’arte veneziano Francesco Fontana. Questi cercò di venderla a Leonardo dei Medici,
mostrando così l’ interesse che si destò anche nell’ambasciatore francese di Venezia.
Come entrambe le versioni siano poi arrivate rispettivamente al Museo del Prado e la
collezione privata di Carlo III d’Inghilterra continua ad essere un mistero. La versione
del Prado appare nell’inventario della Collezione Reale spagnola nel 1814, mentre
quella inglese apparve per la prima volta nella Leicester House, Londra, nel 1749.
Estremamente affascinante tutto non vi sembra?

Un altro esempio manifesto nell’uso del calco di Reni esibito nell’esposizione del Prado “Guido
Reni” e la figura di Santa Caterina d’Alessandria. Nelle sale del museo, una vicino all’altra, si
espongono due magnifiche opere: la Santa Catalina del Museo del Prado e la Santa
Catalina de Patrimonio Nacional del Real Sitio de la Granja de San Ildefonso.
Questa occasione unica e irripetibile ci permette di apprezzare da vicino le particolarità
di ognuna di esse.

 

 

 

Secondo la leggenda, Santa Caterina fu una filosofa e martire che visse nel IV secolo nella città
di Alessandria, Egitto. Anche se i dettagli della sua vita sono in gran parte leggendari, la sua
figura è stata oggetto di devozione ed ampiamente rappresentata nell’arte cristiana.
La sua tradizionale storia racconta che Caterina era una giovane di straordinaria
bellezza e intelligenza, che abbracciò la fede cristiana sin dalla giovine età. Si dice che

dibatté con saggi pagani e filosofi, difendendo con fervore la fede cristiana e
convertendo molti ad essa. Le si attribuisce inoltre la conversione di alcuni imperatori
romani.
La storia più conosciuta di Santa Caterina è quella dello scontro con l’imperatore romano
Maximino Daya.
Questo crudele governante la sottomise a prove e torture nel tentativo di farle
rinunciare alla fede. Tuttavia, secondo la leggenda, Santa Caterina sopravvisse a
diverse di esse, come la ruota, che miracolosamente si ruppe senza toccare la sua
mano. Il 25 di novembre dell’anno 307 d.c fu decapitata.
Santa Caterina d’Alessandria è considerata la patrona di diversi gruppi e professioni,
tra i quali studenti, filosofi, oratori, avvocati e bibliotecari. La sua influenza e devozione
si sono estesi molto nel corso dei secoli.

Attraverso la storia, Santa Caterina è stata rappresentata in innumerevoli opere d’arte,
tanto in pittura come in scultura. È frequente vederla ritratta come una giovane
bellissima, vestita con una tunica, sostenendo una palma, simbolo del suo martirio, una
ruota dentata, simbolo delle prove alle quali è stata sottomessa.
Le due opere di Reni che mostrano Santa Caterina appartengono alla collezione
Maratti, un riconosciuto pittore barocco italiano oriundo di Roma. Queste opere furono
acquisite dal re Filippo V di Borbone nel 1722, e da allora hanno attratto gli amanti
dell'arte con il suo splendore.
Per molto tempo, la versione de la Granja fu considerata una copia, mentre quella del
Prado fu attribuita erroneamente al pittore Domenichino.
Tuttavia, nel corso del XX secolo, si è riuscita a confermare con certezza la paternità del
talentoso pittore bolognese Guido Reni.

Non perdete l’occasione di visitare l’esposizione “Guido Reni” nel Museo del Prado di
Madrid. Avete tempo fino al 9 luglio del 2023 per dilettarvi con la genialità di questo
grande maestro.

Altre storie e viaggi ci attendono nei prossimi casi di Art detective.