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Andromeda o come l’ amore rompe frontiere

Nei precedenti casi di Art Detective abbiamo parlato di tragedie d’amore ma abbiamo lasciato
una speranza per gli articoli a venire.
Nel miti greci, e poi quelli romani, la maggior parte delle volte assistiamo a delle scene di violente vendette o, quasi sempre, le storie non hanno un happy ending, ma al contrario, finiscono in brutali, radicali e a volte spaventose metamorfosi, morti e castighi.

Gli dèi in genere si infuriano tra di loro o contro i mortali che non rispettano le loro leggi e i loro limiti, dando così inizio a innumerevoli miti.
Nel caso di oggi di Art detective racconterò una storia diversa, che vede differenti personaggi che intrecciano i loro destini.

Parlerò della giovane Andromeda e delle avventure di Perseo.
Il mito di Andromeda è una storia affascinante della mitologia greca che include eroi, mostri e riscatti eroici.

Iniziamo:

Andromeda era una principessa etiope, figlia dei re Cefeo e Cassiopea, la sua storia racconta come, a causa dell’arroganza di sua madre, lei finirà intrappolata in quello che sembrerebbe un destino e una penitenza senza uscita.
Cassiopea presumeva la sua bellezza, confrontandola con quella delle Nereidi, le ninfe marine, facenfole infuriare. Come castigo il dio del mare Poseidone inviò un mostro marino chiamato Ceto per terrorizzare il regno d’Etiopia.
Per placare l’ira di Poseidone e salvare il suo regno, Cefeo e Cassiopea consultarono un oracolo che gli consigliò di sacrificare Andromeda e offrirla al mostro marino; così Andromeda fu incatenata a una roccia, penzoloni sulla costa, aspettando di essere divorata da Ceto.
Ma è qui che entra in scena l’eroe Perseo.
Precedentemente, Perseo aveva sconfitto la Gorgona Medusa, con l’aiuto di Ermes e Atena (una storia che racconterò in dettaglio più avanti nell’articolo).
Ermes o Mercurio è il figlio messaggero di Zeus, il dio dall’elmo e dai sandali alati che si muove in ogni parte e rappresenta in maniera simbolica la comunicazione e il commercio.
Atena o Minerva d’altro canto è la dea della giustizia e della saggezza che è stata già protagonista di un caso di Art Detective. Ve lo ricordate? È la dea che arde di invidia e la scarica su Aracne, una giovane che osa sfidare la dea nell’arte di tessere. Se volete rileggere la storia fate clic qui.

Ma torniamo al mito di Perseo e Andromeda.
Quando questi vede Andromeda in pericolo, sulla roccia, si innamora di lei e decide di salvarla. L’eroe affronta Ceto e usando la testa di Medusa, i cui occhi trasformano in pietra tutto ciò che osa mirarla. Pietrifica il mostro, lo uccide e libera la bella giovane.
La storia è stata rappresentata in numerose opere d’arte durante la storia e ha ispirato diverse adattazioni letterarie, teatrali e cinematografiche.
Questo momento epico della liberazione di Andromeda è contemplato in una pittura del maestro Tiziano.
Già sapete che Tiziano è il mio riferimento artistico da cui parte ogni caso.

Il quadro di Tiziano è datato 1554-1556. Attualmente si trova nella collezione Wallace di Londra, essendo parte integrante delle Poesie , l’insieme di quadri incaricate al pittore veneziano da Filippo II di Spagna.
Nel quadro apprezziamo le azioni eroiche di Perseo che con una specie di contorsione fisica uccide il mostro Ceto per liberare Andromeda. Ella si trova in primo piano. Tramette sensualità e innocenza. Ci lascia attoniti e speranzosi che Perseo la salvi da morte sicura e tragica, così come succederà.
Tiziano la mostra in primo piano, a sinistra, con la pelle candida, incatenata ma con una posizione danzerina che mette in evidenza la sua bellezza e la sua armonia.
Alla fine Perseo si sposerà con Andromeda e la porterà con sé nella sua terra natia dove diventeranno dei re. Le nozze saranno un grande evento.

Ma questo quadro che Tiziano realizzò per il re spagnolo come arrivò a Londra?
Sebbene non ci siano prove certe di come arrivò esattamente alla collezione Wallace, la pittura iniziò la sua storia a partire dal vincolo e dal rapporto con il re Filippo II di Spagna e Tiziano, che iniziò questo grande incarico delle Poesie per il re.
Paradossalmente in Spagna, solo rimangono due delle Poesie di Tiziano che in totale erano 5. Entrambe si conservano nel Museo del Prado di Madrid.
Abbiamo parlato di entrambe: Danae che riceve la pioggia d’oro e Venere e
Adone.
Le tracce dei quadri sono la mia specialità come detective dell’arte quindi seguiamole.
Dopo essere stato dipinto da Tiziano, il quadro originale viene inviato a Gand, in Belgio, e poi se ne perdono le tracce prima della morte del re Filippo II nel 1598. È importante menzionare che Antonio Perez il segretario del re possedeva nella sua collezione una copia ma non l’originale del quadro. La copia di Perez oggi si trova nel Museo del Prado di Madrid.
Andromeda e il dragone realizzato da un anonimo è datato 1580-1600.

Tornando all’originale, il quadro dipinto da Tiziano per il re, appare posteriormente nella collezione della famiglia degli scultori Leoni, in Italia, e fino al 1608 consta nel registro dell’inventario di questa famiglia italiana.
Posteriormente tra il 1621 e il 1627 formerà parte della collezione del pittore Van Dyck che l’avrebbe comprato dalla famiglia Leoni durante la sua permanenza in Italia. Van Dyck lo portò con sé ad Anversa. Nel 1641, data della morte del pittore, si trovava nella sua lista di beni, a Londra.
Dopo essere stato venduto a un proprietario inglese, appare in Francia intorno al 1654 e lì è rimasto fino al XVIII secolo. Formò parte della collezione d’Orléans fino ad arrivare a disperdersi dopo la Rivoluzione francese per apparire un’altra volta a Londra dove si trova attualmente.
Che odissea!

Adesso invece parliamo di una versione del quadro realizzata dal pittore veneziano Veronese.

L’opera di Veronese data 1575-1580 e mostra lo stesso modello della pittura di Tiziano. La composizione si presenta come uno specchio dell’opera del maestro.
Andromeda si trova sul lato destro (quella di Tiziano sta nella parte sinistra) ma il resto della composizione mette in evidenza, allo stesso modo che Tiziano, l’atto eroico di Perseo che si lancia sul mostro in una piroetta acrobatica così come abbiamo visto nel quadro di Tiziano.

Il quadro di Veronese attualmente si trova nel Musée des Beaux-Arts di Rennes.
La storia di Andromeda sarà raccontata anche dalla mano di Rubens che realizza una versione del quadro che oggi si trova nel Museo del Prado.

La versione di Rubens si realizzò tra il 1639 e il 1641, con la collaborazione del pittore Jacques Jordaens.
Tiziano, così come Veronese, si concentra sulla lotta tra Perseo e il mostro, mentre Rubens mostra una scena più intima tra l’eroe e la donzella. Perseo si avvicina ad Andromeda, la guarda dolcemente prima di liberarla. Sopra di essi si vede la figura di Cupido che rappresenta l’amore tra i due. Ai piedi dei personaggi sul lato sinistro apprezziamo lo scudo di Perseo con la testa di Medusa e a destra possiamo vedere Pegaso, il cavallo alato che cavalcherà Perseo, e in ultimo vediamo anche il mostro marino Ceto.

Detto ciò è arrivato il momento di entrare in dettaglio nella storia di Perseo e di come riuscirà ad avere la testa di Medusa che ucciderà per liberare l’amata Andromeda, protagonista del nostro caso di oggi.

C’è da dire che non è la prima volta che parliamo di lui. È già apparso in un altro caso di Art Detective nell’articolo di Danae.
Perseo è il figlio di Zeus e Danae. Vi ricordate di lei?
Vi rinfresco un po’ la memoria.
La storia di Perseo comincia con il re chiamato Acrisio, il nonno di Perseo. Acrisio era stato avvertito dall’oracolo che suo nipote lo avrebbe ucciso in futuro, per cui decise di rinchiudere sua figlia Danae per evitare che avesse dei figli. Tuttavia Zeus si innamora di Danae e la seduce trasformandosi in pioggia dorata che cadrà sul suo corpo. Dalla pioggia d’oro nascerà Perseo.
Adesso ricordate la storia? Altrimenti potete rileggerla qui.
Quando Acrisio scopre l’esistenza di Perseo, temendo che la profezia si avveri decide, di mettere in mare Danae e il bambino. La corrente li trascinerà fino all’isola di Serifo, ove saranno riscattati.
Polidette, il re dell’isola si innamora di Danae e vuole sposarla. Perseo tuttavia si oppone per cui il re, vedendolo come un ostacolo, per disfarsi di Perseo idea un piano: organizza un banchetto e chiede ai suoi invitati che gli portino dei regali. Chiede a Perseo la testa di Medusa, la Gorgona mostruosa il cui sguardo converte le persone in pietra.
Il re sapeva che affrontare Medusa era un’impresa impossibile dovuto alla sua pericolosità così che lo inviò praticamente a una sentenza di morte. Perseo accetta la sfida.
E qui dove la storia diventa più intrigante.
Perseo decide di affrontare la Gorgona Medusa e per questo riceve l’aiuto degli dèi Ermes e Atena che gli propiziano degli strumenti magici con i quali riuscire nell’impresa. Ermes gli consegnò i sandali alati e il casco invisibile di Ade (il dio degli inferi) una spada e uno scudo con uno specchio. Dopo molte avventure e sfide Perseo riesce finalmente ad arrivare al luogo dove vive Medusa. Utilizza lo scudo che gli farà da riflesso senza guardare la Gorgona ed evitando così il suo sguardo diretto e pietrificatore. Riesce a decapitare Medusa con l’aiuto di Atena che guida la sua mano.
Dal collo di Medusa emerge Pegaso il famoso cavallo alato, che lo accompagnerà. Perseo raccoglie la testa di Medusa e ritorna a Serifo. Le sorelle di Medusa cercarono di inseguire Perseo ma non ci riescono perché l’eroe si rende invisibile grazie al casco di Ade. Di ritorno all’isola Perseo scopre che Polidette ha cercato di insinuare sua madre. Infuriato utilizza la testa di Medusa per convertire lui e i suoi seguaci in pietra.
Dopo di ciò le sue avventure continueranno. Si riconcilierà con suo nonno si convertirà nel re di Argo.
Tuttavia nei festeggiamenti per il suo ritorno, accidentalmente ucciderà Acrisio.
L’oracolo della nascita di Danae è compiuto!

La scultura di Perseo di Benvenuto Cellini che si trova a Firenze è assolutamente una delle mie sculture preferite. La scultura è solenne, austera e imponente. Mette in evidenza la violenza e l’atroce destino di Medusa che giace decapitata sotto i piedi di Perseo che con fierezza mantiene la testa tra le sue mani, mostrandola con orgoglio.

Medusa ha una storia estremamente tragica in puro stile greco.
Vi narro la sua storia.
Originalmente Medusa era una sacerdotessa del seguito di Atena. Viveva con lei nel suo tempio; seppur la storia varia in alcuni dettagli, Medusa offese Atena mantenendo rapporti sessuali nel suo tempio, profanando così il luogo sacro caro alla dea. In un’altra versione, Medusa si fece beffa della bellezza di Atena, che offesa, decise di castigarla trasformandola in una creatura orrenda con i
capelli di serpenti e lo sguardo pietrificante.
Medusa e le sue sorelle Esteno y Euriale, si convertono nelle Gorgone, delle creature mostruose che terrorizzavano chiunque si incroci nel loro cammino pietrificando qualsiasi persona che le guardi negli occhi.

Una delle immagini più conosciute di Medusa è la pittura realizzata su uno scudo da Caravaggio.

 

Testa di Medusa è un’opera di Caravaggio del 1597, conservata oggi nella Galleria degli Uffizi di Firenze.
La furia, la rabbia e la forza che si osservano nell’immagine della donna sono insieme al tema delle teste sgozzate delle caratteristiche del pittore milanese, che possiamo osservare in altre opere che riflettono la crudeltà della realtà.
In una versione della storia diversa, Medusa viene posseduta dal dio Nettuno nel tempio di Atena che la trasformerà poi in un mostro per castigarla. Bisogna dire che è una profonda ingiustizia e che il suo destino fu assolutamente immeritato frutto di arroganza e dispotismo della dea Atena. Ma non è l’unico caso o l’unica volta in cui assisteremo a un tipo di destino così infame.
La storia della ninfa Calisto e il suo tragico destino hanno qualcosa di simile con la storia di Medusa.
Ma questo è un altro caso di Art Detective.

Guido Reni o come il classicismo barocco trova il suo splendore nel pennello del maestro bolognese

In questo caso di Art Detective voglio parlare di un pittore straordinario: Guido Reni.
Questo superlativo pittore bolognese distaccò per il suo stile, permeato da un gran
classicismo in un’epoca e in un’arte barocca.
Approfittando dell’attuale esposizione del Museo del Prado dedicata a Reni, che
esibisce intorno a 100 pezzi provenienti da più di 40 musei, ho selezionato tre opere da
investigare in puro stile Art Detective.
Queste opere sono delle versioni che l’artista realizzò mediante una tecnica sorprendente,
quella del calco.
Furono create in differenti momenti della sua vita e abordano diversi temi. Spaziano tra
la mitologia, le leggende e la religione in maniera perfetta e armonica.
Guido Reni iniziò la sua carriera sotto l’influenza del suo maestro Annibale Carracci e del
naturalismo classico, uno stile artistico che cerca di rappresentare la natura e il mondo reale
con fedeltà e precisione.
Tuttavia Reni sviluppò uno stile personale, distintivo, che lo differenziò da altri artisti della sua
epoca.
Tra le caratteristiche più rilevanti del suo stile vi sono l’eleganza, la delicatezza e il trattamento
delle figure. I suoi personaggi hanno dei tratti delicati e proporzioni armoniose che
conferiscono loro una bellezza idealizzata.
Reni è abile nel rappresentare la pelle delicata e le pieghe delle tele con grande
dominio tecnico, che aggiunge ad esso un grande realismo così come vari dettagli alla
sua opera.
La luce è un altro elemento distintivo della sua arte. Reni era solito utilizzare una luce
diffusa e avvolgente che generava un effetto di chiaroscuro lieve e creava un’atmosfera
eterea. Questa sensazione di delicatezza si vedeva accentuata dalla scelta di colori
pastello.
Inizierò presentando una delle stelle della mostra “Guido Reni” del Museo del Prado:
Ippomene e Atalanta.
Ne ho già parlato in un altro caso di Art detective.
Ippomene e Atalanta sono i leoni che trainano il carro di Cibele. Vi ricordate?

Prima di diventare degli animali, erano una giovane e un giovine.
Atalanta era una donna meravigliosa che rifiutava di sposarsi; lo avrebbe fatto solo a
patto che si gareggiasse con lei in una corsa, sapendo che fosse impresa impossibile
per qualsiasi mortale.
D’altra parte, Ippomene, era un giovane innamorato di Atalanta, che con l’aiuto di
Venere, conquisterà il suo cuore.
Seguendo il consiglio di Venere, Ippomene lancia tre mele d’oro durante la sua corsa
per distrarre Atalanta così da ottenere la vittoria. Le mele, ad egli consegnate da

Venere, provenivano dal giardino delle Esperidi un luogo sacro dove crescevano alberi
che producevano mele dorate con delle proprietà magiche, simbolo d’immortalità.
Le mele erano custodite da Ladone, un drago da 100 teste che proteggeva i frutti. Rubare le
mele era quasi impossibile, visto che chiunque vi provasse, doveva affrontare la feroce bestia.
Ercole l’affrontò in uno delle sue dodici fatiche.
Ma questa è un’altra storia, che sicuramente racconterò in un altro caso di Art
Ddetective in futuro.
Nell’opera di Guido Reni, la scena rappresenta i due giovani in una posa di danza, come se
stessero ballando al suono di una musica celestiale.
Atalanta si presenta nel lato sinistro della pittura raccogliendo la seconda mela d’oro.
Ippomene dall’altro lato la guarda con gli occhi che riflettono la certezza della vittoria.
I corpi di entrambi sono incrociati, tra le gambe e le braccia, formando delle diagonali
perfette. Dei drappi voluttuosi coprono i corpi dei due. I colori di un bianco candido in
un meraviglioso gioco di chiaroscuro contrastano con il fondo azzurro del cielo e del
mare.
Nella mostra “Guido Reni” dedicata al pittore, possiamo ammirare entrambe le pitture
praticamente identiche eseguite dall’ artista bolognese.
Uno dei due quadri appartiene al Museo del Prado e l’altro alla collezione del Museo
Nazionale di Capodimonte di Napoli.

 

L’opera del Museo del Prado è datata 1618 e 1 6 2 5 ed ha una storia incredibile, nel puro stile
Art Detective.
Per molto tempo, è stata considerata una copia e, pertanto non ha occupato un luogo
di rilevanza nel nostro museo di Madrid. Tuttavia, la sua odissea comincia dall’Italia a
Madrid molto tempo addietro.
Il quadro appartenne a Giovan Francesco Serra, marchese di Cassano di Calabria.
Calabria la mia regione di nascita. Che meraviglia! Serra, un genovese impiantato a
Napoli, fu un grande collezionista d’arte, e molti dei suoi quadri furono acquisiti dal
viceré di Napoli in nome del re spagnolo Filippo IV.
Il quadro si trovava nel Alcázar di Madrid fino all’incendio del 1734; ma si salvò da
quella che fu la maggiore tragedia della storia per tutte le opere d’arte in esso
conservate.
Durante il regno di Carlo III di Spagna, si considerò osceno e si arrivò quasi a
bruciarlo, ma fortunatamente questo non avvenne. Posteriormente, si trovò nella Reale
Accademia delle Belle Arti di San Fernando di Madrid tra il 1796 e il 1827, anno in cui
fu integrato nella collezione del Museo del Prado. Dovuto al fatto che era considerato
una copia fu di nuovo trasferito.
Questa volta arrivò fino alla città di Granada. Dopo uno studio molto approfondito del
quadro, si determinò che fosse un originale del pittore e cominciò ad acquisire una
certa importanza.
Recentemente, è stato restaurato dal Almudena Sanchez, restauratrice del Museo del Prado,
che ha restituito al quadro il suo splendore originale.
Grazie a ciò, si possono apprezzare leggere differenze che esistono tra il suo gemello di
Capodimonte, per esempio in alcuni dettagli del piede di Ippomene, altri nel paesaggio o il
colore del cielo.
L’opera fu realizzata dal pittore a partire da un calco, una sorta di “carta copiativa” delle
opere. Nella mostra e nell’opera di Reni in generale si possono trovare differenti dipinti
ripetuti.
David García Cueto, commissario dell’esposizione “Guido Reni”, spiega questa usanza
di “ripetere” e non “copiare” i quadri. Ribadisce la differenza tra una copia e una
ripetizione. In una ripetizione si riconosce l’originalità nell’esecuzione. Invece quando
parliamo di copia, la maggior parte delle volte, il lavoro è stato eseguito da un altro
pittore o dalla sua bottega. Da qui il lungo dibattito se le opere di Reni fossero o no
originali.
Guido Reni utilizzava una sorta di base in cartone per ripetere esattamente o quasi lo
stesso quadro.
Come descrice David García Cueto, è come se fosse la base di impuntatura e il
modello che usa un sarto.
Le versioni di Ippomene e Atalanta conservate nel Museo del Prado e di Capodimonte furono
realizzate a distanza di pochi anni.

È strabiliante poterle ammirare insieme per la prima volta nella mostra “Guido Reni”!

Passiamo adesso all’opera dell’esposizione di Reni che ritratta la regina Cleopatra. Nella
mostra si presentano una volta ancora due pitture che sono quasi identiche, una appartenente
al Museo del Prado e l’altra alla collezione privata del Re Carlo III d’ Inghilterra.

 

Cleopatra, l’affascinante figura storica che governò L’Antico Egitto dall’anno 51 a.c fino alla sua
morte nel 30 a.c, ha lasciato una profonda eredità nella cultura popolare, all’essere ricordata
per la sua intelligenza, le sue abilità diplomatiche, e la sua relazione con i leader romani Giulio
Cesare e Marco Antonio.
La sua connessione con l’aspide, rappresentato come il simbolo iconico del suo tragico
destino, è durato a lungo durante i secoli. Secondo le fonti storiche, Cleopatra scelse di
affrontare il suo tragico destino e la possibilità di cadere in mano ai nemici dopo la
sconfitta di Marco Antonio nella guerra contro Ottavio, togliendosi la vita usando il
morso di un serpente velenoso, per l’appunto l’aspide.
Questa scena è stata plasmata in innumerevoli opere d’arte durante la storia, catturandone
l’intensità e il drammatismo.

Nel mondo dell’arte, Guido Reni ha lasciato la sua traccia nella rappresentazione di
Cleopatra e il vincolo con l’aspide.
Con la sua destrezza tecnica e la sua abilità nel creare composizioni equilibrate Reni
rappresenta Cleopatra in uno stato di serena bellezza ed eleganza.
In questa opera specialmente, si può osservare lo sguardo intenso e profondo della
regina e il suo volto che riflette solennità e contemplazione.
La figura di Cleopatra domina il primo piano della composizione, catturando
l’attenzione dello spettatore con la sua imponente presenza. Reni riesce a trasmettere
la bellezza idealizzata di Cleopatra, con linee dedicate e proporzioni che accentuano la
luminosità della sua pelle. È interessante notare che la tecnica del calco utilizzata da
Reni è evidente in queste due opere.
Sebbene esistono variazioni leggere nella composizione, tra la versione del Museo del
Prado e quella inglese, entrambe mostrano la destrezza artistica dei Reni e la sua
capacità per ricreare la figura di Cleopatra accattivante.
Nella riproduzione inglese invece di poggiare la mano sinistra sul cesto dell’aspide, la
estende teatralmente sul suo petto. I vestiti si rappresentano in colori differenti, il manto
è rosa e non rosso, così come la camicia non ha più il bordo dorato come nella
versione del Prado.

Come sono arrivati al Museo del Prado e in Inghilterra le due opere di Guido Reni?

Il destino di entrambe le opere, sia per il Prado che per l’Inghilterra, è piuttosto
enigmatico. Secondo Carlo Ridolfi, pittore e biografo veneziano si sa che l’opera formò
parte della collezione del pittore fiammingo Nicolas Régnier.
Reni creò quest'opera in concomitanza con altre tre versioni di Cleopatra realizzate da altri
artisti: Palma il giovane, Régnier e Guercino. Anche se la pittura di Reni non raggiunse
il livello di riconoscimento di quella di Palma, è diventata un tesoro apprezzato da
Régnier che la conservò nella sua collezione personale.
Il destino dell’opera dopo essere appartenuta a Régnier continua ad essere piuttosto intricato.
Nel 1666, la pittura fu venduta in un’asta pubblica e posteriormente acquisita dal mercante
d’arte veneziano Francesco Fontana. Questi cercò di venderla a Leonardo dei Medici,
mostrando così l’ interesse che si destò anche nell’ambasciatore francese di Venezia.
Come entrambe le versioni siano poi arrivate rispettivamente al Museo del Prado e la
collezione privata di Carlo III d’Inghilterra continua ad essere un mistero. La versione
del Prado appare nell’inventario della Collezione Reale spagnola nel 1814, mentre
quella inglese apparve per la prima volta nella Leicester House, Londra, nel 1749.
Estremamente affascinante tutto non vi sembra?

Un altro esempio manifesto nell’uso del calco di Reni esibito nell’esposizione del Prado “Guido
Reni” e la figura di Santa Caterina d’Alessandria. Nelle sale del museo, una vicino all’altra, si
espongono due magnifiche opere: la Santa Catalina del Museo del Prado e la Santa
Catalina de Patrimonio Nacional del Real Sitio de la Granja de San Ildefonso.
Questa occasione unica e irripetibile ci permette di apprezzare da vicino le particolarità
di ognuna di esse.

 

 

 

Secondo la leggenda, Santa Caterina fu una filosofa e martire che visse nel IV secolo nella città
di Alessandria, Egitto. Anche se i dettagli della sua vita sono in gran parte leggendari, la sua
figura è stata oggetto di devozione ed ampiamente rappresentata nell’arte cristiana.
La sua tradizionale storia racconta che Caterina era una giovane di straordinaria
bellezza e intelligenza, che abbracciò la fede cristiana sin dalla giovine età. Si dice che

dibatté con saggi pagani e filosofi, difendendo con fervore la fede cristiana e
convertendo molti ad essa. Le si attribuisce inoltre la conversione di alcuni imperatori
romani.
La storia più conosciuta di Santa Caterina è quella dello scontro con l’imperatore romano
Maximino Daya.
Questo crudele governante la sottomise a prove e torture nel tentativo di farle
rinunciare alla fede. Tuttavia, secondo la leggenda, Santa Caterina sopravvisse a
diverse di esse, come la ruota, che miracolosamente si ruppe senza toccare la sua
mano. Il 25 di novembre dell’anno 307 d.c fu decapitata.
Santa Caterina d’Alessandria è considerata la patrona di diversi gruppi e professioni,
tra i quali studenti, filosofi, oratori, avvocati e bibliotecari. La sua influenza e devozione
si sono estesi molto nel corso dei secoli.

Attraverso la storia, Santa Caterina è stata rappresentata in innumerevoli opere d’arte,
tanto in pittura come in scultura. È frequente vederla ritratta come una giovane
bellissima, vestita con una tunica, sostenendo una palma, simbolo del suo martirio, una
ruota dentata, simbolo delle prove alle quali è stata sottomessa.
Le due opere di Reni che mostrano Santa Caterina appartengono alla collezione
Maratti, un riconosciuto pittore barocco italiano oriundo di Roma. Queste opere furono
acquisite dal re Filippo V di Borbone nel 1722, e da allora hanno attratto gli amanti
dell'arte con il suo splendore.
Per molto tempo, la versione de la Granja fu considerata una copia, mentre quella del
Prado fu attribuita erroneamente al pittore Domenichino.
Tuttavia, nel corso del XX secolo, si è riuscita a confermare con certezza la paternità del
talentoso pittore bolognese Guido Reni.

Non perdete l’occasione di visitare l’esposizione “Guido Reni” nel Museo del Prado di
Madrid. Avete tempo fino al 9 luglio del 2023 per dilettarvi con la genialità di questo
grande maestro.

Altre storie e viaggi ci attendono nei prossimi casi di Art detective.